Oman
Ocra e blu, i colori che riempiono gli occhi non appena si inizia ad esplorare questo lembo della Penisola Arabica. Colori saturi e pieni che colmano il cuore. Quando il sole splende le linee sono così nette che sembra non esistano sfumature, a volte il blu è in alto, a volte ai nostri piedi. E poi le molteplici sfumature ocra: quasi oro sulle rocce, splendente sulle dune, polveroso sulle piste che tagliano il paesaggio marziano. Un contrasto che diventa paradigmatico negli wadi, le strette gole dove scorrono i fiumi, e si arrichisce di qualche pennellata di verde dove questi corsi d’acqua permettono la coltivazione delle palme.
L’Oman é una terra incredibile, lo sviluppo corre frenetico ma accanto ad esso le tradizioni non vengono abbandonate, accanto alle grandi costruzioni delle infrastrutture e ai palazzi scintillanti, la gente rimane autentica.
Un paese dove un anziano ingobbito seduto a bordo strada, ti osserva imboccare inesorabilmente una pista senza uscita con l’auto, ti aspetta perché sa che dovrai tornare indietro e ti spiega la strada nel suo dialetto, e tu lo capisci e non ti perdi. Dove un elegante giovane uomo in coda davanti a te per comprare una bevanda decide di pagare anche per te e offrirtela gentilmente. Dove il custode di uno splendido forte ti offre riparo dalla calura nella sua foresteria quando ti vede arrivare stremato, ti offre caffè speziato e datteri squisiti e una piacevole chiacchierata a gesti.
Gentilezza incorniciata dall’oro e dal cobalto, questo è l’Oman che mi sono portata a casa.
La nostra avventura inizia dalla capitale Muscat: il cuore pulsante della città è come sempre il souq, nella parte vecchia, a ridosso della corniche sul mare. L’intera area sul porto, oggetto di recente riqualificazione, offre una bellissima passeggiata sul lungomare, da dove poter osservare l’andirivieni di mercantili e dhow e persino il sontuoso yacht del sultano, lì ormeggiato.
Nonappena ci si addentra negli stretti vicoli del souq l´atmosfera cambia. I profumi delle spezie e i colori delle merci sono cosí tanti che fanno girare la testa. Incredibili monili in oro scintillano dalle vetrine delle tante gioiellerie, così come i luccicanti manufatti smaltati. I turisti non sono molti, e i mercanti cercano di attirare la nostra attenzione. Sbuchiamo in una piazza assolata e un profumo incredibile di pane ci solletica le narici. Ne rintracciamo l’origine in un carretto che sforna fragranti fagottini ripieni di verdure e ne assaggiamo subito uno. Una delizia! Caldo, speziato e leggermente piccante, ricarica le nostre energie per continuare la visita della capitale.
Visita che prosegue nella Grande Moschea del Sultano Qaboos, venuto a mancare proprio poche settimane fa, ultimata nel 2001. Un’architettura grandiosa, come lo sono quasi sempre gli edifice religiosi. All’esterno il sole si riflette prepotente sulle enormi superfici in marmo bianco e gli archi e i trafori dei cortili disegnano ombre intriganti su di esse.
Ci aggiriamo a piedi nudi, alternando pietra fredda e pietra calda sulla pelle, io col capo coperto come da regolamento. Il cielo blu intenso lo è ancora di piú nel contrasto con il marmo. Un bellissimo giardino con rose e giochi d’acqua arricchisce di ulteriore fascino la passeggiata. All’interno l’atmosfera è quieta, gli spazi maestosi e i suoni attutiti dai soffici, enormi tappeti. La decorazione delle volte, i lampadari in cristallo e le colonne scolpite, sono così minuziosamente decorate che non si sa dove concentrarsi per poterne apprezzare la bellezza. Ogni tanto arriva l’eco di una preghiera, le note profumate di incenso bruciato.
Alla fine della nostra visita, al centro culturale, facciamo una piacevole e interessante chiacchierata con un volontario che risponde alle nostre domande sull’Islam e ci offre come consuetudine caffé e datteri.
Soggiorniamo nella capitale e da lí ci avventuriamo nei giorni seguenti lunghi percorsi diversi, per scoprire la regione circostante ricca di siti naturalistici. Un susseguirsi di strade polverose tra rocce e rossi paesaggi marziani, scorci di mare blu intenso e dune dorate.
Sparse per il territorio dell’Oman si trovano molte costruzioni fortificate, affascinanti retaggi storici che torreggiano sui paesi circostanti. Come giá detto i colori in questo Paese sono incredibili, ma sono pochi. Tutto é quasi tono su tono, e cosí sono anche i castelli costruiti in pietra locale e fango che si stagliano sul cielo blu con lo stesso colore del terreno circostante.
Fra i piú imponenti ci sono quello di Al Rustaq e quello di Nizwa.
Ci aggiriamo tra le stanze, i cortili, le scalinate con un senso di mistero. Non c’è nessuno, solo il gentile custode del quale ho scritto poco sopra. Le stanze sono vuote, irregolari, alcune con piccole aperture verso l’esterno, altre sono magazzini per le provviste, altre ancora camere dove la gente del luogo ha vissuto. Uno scenario perfetto per i mie voli di fantasia. Quanti bambini hanno giocato a nascondino tra quelle mura? Con le madri che li rimproveravano con la voce leggermente attutita dal velo davanti alla bocca, l’abaya ondeggiante nel vento caldo che crea correnti tra i corridoi, i cortili e le terrazze. Qui gli uomini si sono precipitati a raccogliere le armi e a schierarsi per difendersi dall’attacco dei nemici? Il sibilo del vento porta voci lontane, quasi come se il ricordo delle voci di quei bambini, di quelle donne e degli uomini fosse rimasto intrappolato nel forte.
Si arriva in cima alle mura attraverso un susseguirsi di spazi freschi o caldi a seconda della posizione. In alto la vista è bellissima: dalla terrazza si osserva l’abitato circostante e all’improvviso veniamo sorpresi dalla preghiera del Muezin che si sparge a ondate dal minareto della vicina moschea. È una cantilena suggestiva, che evoca immagini esotiche di paesi lontani, di avventure lette nei romanzi. Ma evoca purtroppo anche un senso di disagio, legato all’immagine collettiva generalizzante che abbiamo nel Mondo Occidentale. La preghiera gridata dalle torri diventa quasi colonna sonora della paura di un attacco terroristico. Ma la bellezza, la tranquillitá del luogo, la gente amichevole, l’evidente pacifica realtà di questo Paese dissolvono ogni timore.
Indugiamo ancora sulle mura, godendoci la brezza del pomeriggio, prima di rientrare nella capitale e prepararci per la prossima avventura. una notte nel deserto. Un’esperienza davvero da “Le mille e una notte”.
E proprio così si chiama il meraviglioso resort che ci attende e che ha vinto il premio come miglior Luxury Desert Camp nel 2019. Un’oasi nel cuore del deserto dell’est che ci accoglie con una sontuosa cena, dopo un pomeriggio di game drive sulle dune in attesa dello spettacolare tramonto.
Ci arrampichiamo, scivolando a ogni passo, su un’alta duna, calcolando precisamente i tempi così da arrivare sulla cima al momento giusto, per non perdere nemmeno un attimo dello spettacolo che sta per essere messo in scena. La sabbia è sorprendentemente fresca tra le dita dei piedi, il cielo inizia a sfumare dall’oro all’indaco e il sole è una perfetta palla di fuoco che prosegue la sua orbita verso l’orizzonte davanti a nostri occhi. Un oceano sconfinato di sabbia si estende ai nostri piedi, ha recentemente piovuto ed è disseminato di piccoli arbusti. Chissà se una carovana di nomadi è passata proprio in quel punto, se i loro dromedari hanno lasciato le impronte delle loro buffe zampe proprio dove sono seduta io, se un falò notturno ha illuminato il lembo di deserto che ci circonda.
Il tramonto incendia i colori e inscena uno spettacolo superbo, effimero ed indimenticabile.
Un piccolo insetto emerge dalla sabbia e lo osservo affannarsi nella sua corsa senza meta, lasciando lievi ghirigori con le sue minuscole zampe. Una piccola conca nella sabbia è la sua duna, corre inconsapevole dell’immensità che lo circonda, non vedrà mai altro che sabbia nella sua breve esistenza. Una metafora di una parte di umanità in effetti: di coloro che non viaggiano, che non vedono, che non leggono, che non studiano, che non migliorano, che non assaggiano qualcosa di nuovo. Coloro che non vogliono capire, che rimangono ancorati al loro piccolo lembo di deserto senza uscire ad esplorare la meravigliosa immensità del mondo. Di coloro che, per ignoranza incolpevole o per non volontà di cambiare – colpevolissima, si perdono tutto quanto, affannandosi verso la loro piccola duna, dietro la quale sono celate altre migliaia di identiche piccole dune.
I raggi del sole affievoliscono, l’indaco evolve in violetto e la temperatura scende. Scivoliamo giù sulla duna e ci incamminiamo verso il resort, dove una cena fantastica ci attende. Sediamo comodi tra i cuscini delle panche che circondano il grande tavolo riservato per noi e gustiamo le prelibatezze della cucina mediorientale mentre la brezza del deserto si insinua tra gli archi della sala da pranzo e fa svolazzare le ricche tende che li incorniciano.
Dopo la cena, perfetta per le pietanze e la compagnia, i miei due “Danieli”, ci ritiriamo nelle nostre tende per la notte, sotto un incredibile cielo stellato. La temperatura è pungente, ma calde coperte e comodi letti ci aspettano al ripato delle spesse coltri che le compongono. Il silenzio circostante è surreale, ci vedo dall’alto, minuscoli puntini persi nel mezzo di un deserto e una potente sensazione di libertà e felicità mi pervade.
Ai primi raggi del sole, ben vestiti per proteggerci dal freddo del mattino, usciamo dalle tende per goderci lo spettacolo opposto, dove il sole percorre la sua orbita verso l’alto e i colori sfumano al contrario partendo dal violetto. Dopo una sontuosa colazione risaliamo sulla Toyota della lnostra guida che ci regala ancora una paio d’ore di elettrizzanti saliscendi sulle dune prima di imboccare la pista che ci riporterà nella capitale.
Come sempre, in un baleno arriva il momento di tornare e rientriamo nella grigia baviera di fine inverno, col cuore colmo di oro e di cobalto.