Mattoni, gabbiani

Verde, blu. Vento, mare. Mattoni e gabbiani. Sono come i pezzi definiti di un mosaico che composto crea una piccola terra gentile, ferita nella storia, forse ancora incerta sul proprio futuro, ma accogliente e disponibile.

L’Irlanda del Nord si esplora piano piano, su strade semplici, attraverso campi curati e piccoli tesori nascosti. Si scopre un muretto in pietra dopo l’altro, esplorando un castello in rovina a destra e uno a sinistra, tra centinaia di buffe pecore che brucano ovunque incuranti di tutto, un attimo sotto un sole splendente e quello dopo sotto una pioggia che non perdona.

Si scopre un muro di mattoni rossi dopo l’altro, qualche volta anneriti dalla fuliggine dei comignoli, qualche volta abbelliti dal verde intenso del muschio.

Questo lembo del Regno Unito, separato da un labile confine geografico, ma da una netta linea culturale, racconta una storia terribile di sanguinose domeniche, ed altri dolorosi giorni.

A West Belfast soprattutto, le tracce degli eventi sono ancora visibili: nel Gaeltacht Quarter su un lato della strada le case espongono lo Union Jack, sull’altro il tricolore d’Irlanda, quasi fossero barricate che si fronteggiano in guerra. Camminare sulla via che le separa è come attraversare una terra di nessuno, perché questo è il confine tra i quartieri cattolico e protestante. Un lembo di città forse senza regole, nessuno ne parla troppo, ma un divano distrutto è abbandonato a lato della strada, ci trova rifugio un gatto randagio; bottiglie di birra rimaste a terra dopo una serata goliardica insieme a rottami e vecchi giornali dipingono una situazione incerta e fatiscente che rispecchia l’insicurezza del futuro di questa terra. Ancora, dopo tanti anni.

E’ qui che nel 1970 venne creata la Peace Line, per separare la parte lealista e protestante del quartiere intorno a Shankhill, da quella repubblicana e cattolica di Falls Road, esasperando ulteriormente l’astio e le tensioni durante i Troubles.

Ed è qui che si trovano la maggior parte dei murales che raccontano quella storia.

I primi murales repubblicani sono stati creati nel periodo dello sciopero della fame, attuato dai detenuti politici del famigerato carcere di Maze. Nel corso degli anni le raffigurazioni hanno spaziato dalla politica all’attualità, da eventi storici a leggende irlandesi.
La fenice simbolo d’Irlanda che risorge dalle ceneri della rivolta di Pasqua, e il volto di Bobby Sands, l’attivista politico morto a causa dello sciopero della fame sono fra i soggetti più famosi.

Se i murales repubblicani sono sempre stati ricchi di simbolismi, quelli lealisti si sono sempre differenziati per le loro raffigurazioni provocatorie e militaresche. Insegne paramilitari, immagini di re Guglielmo III, la mano rossa dell’ Ulster, sono i principali soggetti, a dimostrare il profondo senso di fedeltà alla corona britannica.

Come sempre quando mi trovo in nuovi luoghi la mia immaginazione inizia a lavorare…Non so in quali circostanze siano stati creati i murales, e cerco di immaginare se un gruppo di giovani, speranzosi, in lotta, arrabbiati o impauriti e delusi si sia radunato di notte, armato di secchi di vernice e pennelli, e abbia lavorato alacremente per urlare il proprio messaggio con i colori su quei mattoni. Quanti incontri ci sono stati per progettare ogni singola raffigurazione? Con quanta passione si sono ritrovati per creare quella che potrei definire un’opera d’arte sociale? Bevevano birra e fumavano mentre raccoglievano le idee, incoraggiandosi l’un l’altro urlando slogan politici e sognando una soluzione ai conflitti? Alcuni fomentavano l’odio senza combattere veramente per la pace? Sicuramente un po’ di tutto questo è accaduto, e forse non si è mai esaurito.

Quei muri nel tempo sono diventati una mostra permanente di solidarietà ai popoli oppressi nel mondo intero, un megafono dal quale urlare messaggi politici e sociali che toccano tutte le questioni della società odierna. Trovano così posto Nelson Mandela, la questione palestinese, includendo anche alcune opere d’ arte moderna, come Guernica di Picasso per rappresentare la lotta globale nel nostro mondo.

Anche a Londonderry (o Derry, a seconda di chi lo dice…) si trovano molti murales.
Nel Bogside si è consumata una delle più grandi tragedie del periodo dei Troubles, conosciuta come la Domenica di sangue. Il 30 gennaio 1972, 13 civili furono uccisi dai paracadutisti dell’esercito britannico.

Oggi la città è pulita, le strade ordinate e passeggiare sulle mura è piacevole. Ma dall’alto, guardando il quartiere cattolico oltre il fiume, le case operaie tutte uguali, modeste, con le tipiche file di comignoli a separare le unità, riaffiorano i sibili dei proiettili, le urla di disperazione, i pianti e le macchie di sangue, in una grigia e fredda domenica di gennaio. Vite spezzate, di chi non si è più rialzato da quelle strade e anche di chi ha sparato. Di chi si è ribellato per il proprio ideale e di chi non ha potuto o voluto ribellarsi a un ordine. Quanti dei protagonisti di queste vicende erano giovani che credevano in quello che facevano, da una parte o dall’altra? Fatto è che credevano.

E forse è grazie a queste convinzioni, al coraggio con cui si è combattuto per ciò in cui si credeva, che oggi io posso facilmente osservare in totale tranquillità molti degli scenari della storia del mondo…

Ma c’è anche molta bellezza nell’Irlanda del Nord. Quella di una natura poetica e deliziosa, imponente e tempestosa. Il sole splende e la terra brilla di verde dei pascoli e di profondo blu del mare, il vento porta nuvole veloci e la pioggia trasforma il paesaggio in una cupa sinfonia di grigi e di vento.

E su tutto regna lo stridio dei gabbiani, per me – e soprattutto per la mia mamma – sinonimo di viaggio, di libertà. Volano rapidi facendo la spola tra i nidi arroccati negli anfratti delle scogliere e il mare, giù in picchiata a pescare e poi di nuovo veloci fino ai loro piccoli con il bottino.

L’imponenza delle rocce a picco sul mare è l’essenza di questi paesaggi, il verde che si fonde con il blu da lontano e le sfumature di ocra e grigio che invece separano erba e acqua se si guarda da vicino.

E poi qua e lá macchie di bosco, intricato e fatato, carico di suoni e profumi, mi piace pensare anche un po’ stregato. Il verde intenso e vellutato del muschio che ricopre gli alberi dona un aspetto surreale e di nuovo la mia immaginazione corre. Gli alberi sono meravigliosi esseri viventi, silenziosi osservatori del mondo, li vedo come saggi, vecchissimi, orgogliosi esseri che accolgono e proteggono la vita fra i loro rami, come gli Ent della foresta di Fangorn ne “Il Signore degli anelli”.

Rimango a lungo incantata dai cinguettii, dai sibili e dai ronzii che misti al profumo di resina, terra e legno mi avvolgono al limitare della foresta di Magho. Mi prendo il tempo di respirare, riconnettermi e osservare con stupore e meraviglia questo bellissimo angolo di mondo. Di camminare affondando sul soffice muschio. Di immaginare elfi e folletti che nascosti tra le foglie forse mi osservano. Di essere grata di questo silenzio – inteso come assenza dai rumori della civiltà – che racchiude la musica della Natura.

Un’ altra bellissima sinfonia di vento e fruscii la sento percorrendo il sentiero tra gli enormi faggi conosciuto come “The dark hedges”, ossia camminando lungo Bregagh Road tra Armoy e Stranocum nella contea di Antrim. Un luogo reso famoso dalla serie Il trono di Spade, che racchiude in sè una vera opera d’ arte di Madre Natura.

Un tunnel surreale, creato dall’abbraccio degli alberi, ammantato a volte da una lieve nebbia che sale dal terreno, quando splende il sole dopo una notte di pioggia, e aggiunge quel pizzico di mistero. Camminare sotto le fronde agitate dal vento è emozionante, mi fa percepire l’energia degli alberi e mi perdo, di nuovo, pensando a cosa vogliano comunicarmi. La sensazione di benessere che si percepisce passeggiando fra essi è incredibile, come sostiene anche la pratica giapponese del Shinrin-yoku, ossia “bagno nella foresta”, un particolare metodo della medicina giapponese secondo il quale trascorrere del tempo nella natura potrebbe avere alcuni sorprendenti benefici per la salute.

Arriva in fretta, ahimè, il momento di partire, come sempre troppo velocemente quando si passano giornate intense alla scoperta di luoghi nuovi.

Partiamo. Con l’eco dei gabbiani nelle orecchie e il verdeblu negli occhi.

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